La guerra è tossica. La pace è sostenibile.
Della guerra si parla in genere come di un fenomeno politico, militare e sociale dalle conseguenze, sappiamo, catastrofiche e disastrose per gli esseri umani, soprattutto civili.
Oggi esiste anche una maggior consapevolezza degli effetti devastanti che la guerra ai giorni nostri ha anche sull’ambiente e tutto questo, considerato l’aggravarsi a livello globale della situazione ambientale, la rende ancor più folle.
Questo argomento può essere considerato in base ad alcuni principali aspetti:
- l’inquinamento dovuto alla costruzione e al sostentamento delle forze militari
- quello riguardante l’impatto diretto che la guerra vera e propria ha sull’ambiente
- quello legato al problema dei detriti di difficile smaltimento che la guerra si lascia alle spalle per decenni.
Ma le conseguenze ambientali della guerra cominciano ben prima del conflitto, anche in situazioni di pace:
- costruire e sostenere forze militari richiede infatti quantità enormi di risorse, dai metalli comuni a terre rare, come ittrio e terbio utilizzati per le armi nei veicoli da combattimento, acqua e idrocarburi.
- l’utilizzo di veicoli militari, aerei, navi e infrastrutture per addestramenti richiedono altra energia che il più delle volte è petrolio con efficienza energetica bassa.
Secondo il CEOBS (Conflict and Environment Observatory), organizzazione che mira a educare il pubblico sulle conseguenze ambientali e umanitarie delle forze armate, le emissioni degli eserciti superano notevolmente quelle di molti paesi insieme e alcune stime parlano del 5,5% del totale mondiale, più dei traffici civili di navi e aerei.
Questo può forse aiutarci ad immaginare l’entità del dato in questione.
Queste emissioni di gas serra di origine militare non sono conteggiate nei Trattati internazionali in materia di clima nei totali delle emissioni dei singoli stati, a causa delle pressioni, in particolare degli Stati Uniti, durante la negoziazione del Protocollo di Kyoto del 1992. All’ultima Cop28 a Dubai è nata una campagna che dovrebbe dare risultati per modificare questa passata decisione.
Consideriamo ora l’impatto diretto della guerra sull’ambiente che viene inquinato a tutti i livelli: aria, acqua, suolo e danni alle specie animali e vegetali.
Con bombardamenti, esplosioni, distruzione di edifici, incendi, l’aria si riempie di polveri sottili e vi è un aumento considerevole della concentrazione di anidride carbonica (CO2) in atmosfera.
Le macerie, anche di impianti industriali, che ricoprono il suolo sono colme di sostanze tossiche che, con il tempo, si trasferiscono dal suolo anche all’acqua, inquinandola e rendendola non più potabile.
Facendo riferimento, come esempio, alla vicina e tragica guerra in Ucraina, uno studio reso noto alla Conferenza sul clima dello scorso anno a Bonn, ha stimato che dopo 15 mesi di conflitto i bombardamenti e gli incendi di raffinerie, di depositi di carburante, capannoni, l’esplosione del gasdotto Nord-Stream e 120.000 generatori diesel utilizzati a seguito degli attacchi alla rete elettrica, hanno prodotto almeno 155 milioni di tonnellate di CO2 (pari alle emissioni per un intero anno di un paese come il Belgio); a ciò si somma la CO2 non assorbita da 280.000 ettari di foreste in parte bruciate e distrutte.
Nell’acqua sono poi finiti i residui di bombardamenti a 990 impianti industriali chimici (piombo, bauxite, uranio impoverito, soda caustica, zinco) che finiscono nel Mar d’Azov, nel Bosforo per arrivare anche al Mediterraneo.
Dicono i ricercatori che sulle coste della Crimea i pesci sono quasi tutti morti.
Incalcolabili ancora oggi i danni della distruzione della diga di Nova Kahkovka sul Dniepr che ha sversato 150 tonnellate di lubrificanti industriali tossici allagando un’immensa area di foreste e centri abitati.
Il terreno è stato contaminato anche da metalli pesanti, ammoniaca, acido nitrico e secondo gli artificieri ucraini sono state “seminate” dai russi nei campi dai 6 ai 10 milioni di mine su un’area lunga 2.000 Km. dove vivono 14 milioni di persone.
Secondo le stime quasi 1/3 dei campi non è oggi coltivabile.
Poi c’è il problema delle fibre polverizzate di amianto, usato nella maggioranza degli edifici del Donbass e fino a tre anni fa anche in Ucraina: gli oltre 200.000 edifici bombardati hanno disperso nell’aria polveri che secondo il presidente dell’Osservatorio nazionale amianto produrranno nei prossimi anni malattie e morti.
Non dimentichiamo poi le preoccupazioni legate alla vicinanza di alcuni scontri alle centrali nucleari di Chernobyl e Zaporizhzhia, con il forte rischio di fughe radioattive e contaminazione delle falde acquifere.
È inoltre importante considerare come la guerra abbia causato la ben nota crisi energetica dello scorso anno che ha ridato impulso alle fonti fossili.
Oltre all’incalcolabile disastro umanitario ci vorranno DECINE DI ANNI per rimediare i gravi danni ambientali provocati.
Ricordiamo infine che l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, il 5 novembre 2001, ha dichiarato il 6 novembre la Giornata internazionale per la prevenzione dello sfruttamento dell'ambiente in guerra e conflitto armato.
Fonti
www.corriere.it.dataroom
www.greenpeace.it
www.legambiente.it
www.geopop.it
Fermiamo la #guerra.
Lavoriamo per un modello di #svilupposostenibile.